Sono ammesse le perquisizioni sul dipendente e, in particolare, sui suoi effetti personali?
Per rispondere all’interrogativo è necessario richiamare alla mente l’art. 6 dello Statuto dei lavoratori, in particolare il primo e il terzo comma.
Il primo comma stabilisce espressamente che “Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti.”
Il terzo comma, invece, specifica che “Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali nonché […] le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro.
Alla luce di quanto disposto dal Legislatore, è necessario tracciare con maggiore precisione i confini di applicazione dell’art. 6 ed evidenziare, sin da subito, che la questione controversa è se la procedura prevista per le visite personali descritta al terzo comma dell’art. 6 (ovvero, l’accordo datore di lavoro e rsa/istanza all’Ispettorato del lavoro) sia necessaria anche per effettuare le perquisizioni sugli accessori ed effetti personali dei dipendenti (es. borse, marsupi, zaini).
Per le visite personali ossia le perquisizioni “sulla persona”, infatti, nulla questio: è necessario che le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro.
Si aggiunge anche che tali perquisizioni devono essere eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore (ad esempio mediante l’invito a recarsi in una sala dove sia garantito il riserbo del dipendente, v. Cass. n. 12197/1999) e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica, cioè casualmente, riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.
Per le perquisizioni sugli accessori ed effetti personali, invece, la questione è controversa: da una parte registriamo una serie di pronunce giurisprudenziali (Cass. n. 1461/1988, n. 14197/2012 e Corte d’Appello Potenza Sez. lavoro, n.102/2015) che affermano espressamente che “l’ispezione sulle cose non rientra nella sfera di applicazione dell’art.6” e dall’altra un Parere del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (n. 20542/2015) che offre una lettura evolutiva della norma, e considera necessaria la procedura normativamente prevista all’art. 6 c.3 anche per questo tipo di perquisizioni.
L’argomentazione principale delle pronunce giurisprudenziali sopra menzionate è di carattere letterale e sistematica, si evidenzia infatti che l’art. 6 contempla solamente la “visita personale” e non anche sulle cose del lavoratore, al pari dell’ordinamento processuale civile (art. 118 c.p.c.) e penale (artt. 244-246 c.p.p.) in cui si distingue nettamente tra ispezione corporale e ispezione di cose e luoghi.
Dall’altra, l’orientamento del Ministero, invece, pare offrire una lettura evolutiva della norma in commento, giustificandola alla luce “della progressiva estensione dell’area dei c.d. diritti della personalità e alla protezione accordata alla sfera personale del lavoratore e più in generale alla dignità e alla riservatezza della persona”.
Va altresì sottolineato, tuttavia, che il Ministero nel giungere a questa conclusione richiama sentenze, di merito, ben più datate (Pretura di Milano 22 gennaio 1987 e Pretura Penale di Pordenone 8 gennaio 1997) rispetto a quelle, della Cassazione, che offrono una lettura restrittiva della norma.
Che fare dunque?
Rebus sic stantibus, si potrebbe azzardare la seguente indicazione di massima: in via prudenziale, considerando la sempre più incisiva centralità che il tema della sfera “della riservatezza della persona” sta acquisendo nel dibattito giurisprudenziale, e non solo, appare più ragionevole accogliere l’interpretazione evolutiva della norma.